Itinerario alternativo alla scoperta della Venezia insolita e meno turistica. Vi racconto il mio tour a Venezia sulle tracce di Corto Maltese in un percorso chiamato la “Porta dell’Avventura”. Partiamo?
Questo articolo è dedicato ai viaggiatori incalliti, a coloro che sono stati a Venezia più e più volte, a chi si è innamorato di questa città e non ne ha mai abbastanza, a chi vive di curiosità e quando viaggia ricerca sempre gli angoli più nascosti.
Qualche tempo fa, mentre ero in libreria, sono rimasta folgorata da Corto Sconto, un libricino che raffigurava Corto Maltese che passeggia tra le calli di una Venezia azzurra. L’ho immediatamente preso in mano e subito me ne sono innamorata: era una guida di viaggio! Di più, era una guida alla scoperta della Venezia nascosta, sui passi di Corto Maltese.
Poco tempo dopo, accompagnata da un paio di amici, ho avuto l’occasione di provare uno dei percorsi proposti e ora lo voglio raccontare a voi. Imbocchiamo, quindi, la Porta dell’Avventura…
Corto Sconto. La guida di Corto Maltese alla Venezia nascosta |
Venezia insolita: itinerario guidato sui passi di Corto Maltese
Il viaggio alla scoperta di Venezia nascosta inizia per me, Cecilia e Federico, da Campo San Bartolomio, dopo il Ponte di Rialto, nel sestiere di San Marco, sotto gli occhi vigili di Carlo Goldoni che (poverino!) tutti scambiano per Giacomo Casanova.
Oltrepassando la statua del commediografo, imbocchiamo la Salizzada del Fontego dei Tedeschi, l’antico deposito import-export della popolazione germanica al tempo della Serenissima Repubblica.
Proseguiamo oltre il ponte fino a trovare, sulla nostra sinistra, la Fiaschetteria Toscana, uno degli storici ristoranti di Venezia, che è al suo posto dal finire dell’800.
A fianco del ristorante c’è una minuscola calletta: alla sua estremità troviamo il Campiello del Remer, uno straordinario quanto inatteso sbocco sul Canal Grande da cui si gode una bellissima prospettiva del Ponte di Rialto.
Alle nostre spalle, incassato in un palazzo del trecento, ecco la Taverna del Campiello del Remer, un bel posticino per bere qualcosa in compagnia e fare un buon aperitivo. L’aperitivo, si sa, a Venezia si fa a tutte le ore!
Il Campiello del Remer non ha altre uscite, perciò dobbiamo per forza tornare sui nostri passi. Stavolta superiamo la chiesa di San Giovanni Crisostomo e imbocchiamo Calle Morosini fino a giungere alla Corte Morosina.
La leggenda sulla Corte Morosina C’è una bellissima leggenda legata a questo posto: Un giovane Cavaliere templare, al rientro da una Crociata, aveva nascosto nell’elsa della sua spada una reliquia (un pezzo di legno della Santissima Croce) che voleva portare a Colonia, sua città natale. Sulla nave che lo riportava in occidente strinse amicizia con un nobile veneziano appartenente alla famiglia Morosini. Al loro approdo a Venezia, il nobile invitò il cavaliere a casa sua, nella Corte Morosini, per riposare prima di ripartire per Colonia. Lì il cavaliere conobbe la sorella del nobile Morosini, una donna di grande bellezza e fascino. Il giovane se ne innamorò subito e le confidò il segreto della reliquia rubata. Un mattino, al suo risveglio, il Cavaliere scoprì che la reliquia era scomparsa, così come il nobile e la donna che in realtà non era sua sorella ma la sua amante. Il giovane impazzì dal dolore e dalla delusione. Si racconta che ogni notte vagasse per le calli ed i campielli alla ricerca dei traditori e della reliquia. Fino a che, un mattino, davanti all’arco del portale d’ingresso alla corte, furono ritrovati l’elmo, l’armatura vuota, lo scudo e la spada (senza elsa). Del Cavaliere non si seppe più nulla. In effetti, che la leggenda sia vera o meno, all’interno della Corte si respira ancora un’aria medievale, sarà per il pavimento in cotto o per la particolare vera da pozzo. |
Ora riprendiamo il viaggio, torniamo nella Calle Morosini e passiamo i due sottoporteghi che portano rispettivamente in Corte Prima e Corte Seconda del Milion.
La Corte, lo avrete già capito, prende il nome da Il Milione, una delle opere di viaggio più conosciuta al mondo, scritta da Marco Polo, la cui famiglia qui aveva dimora.
Qui dietro, oltre l’arco, c’è uno dei teatri di Venezia, il Malibran. Il teatro porta questo nome dal 1835 ma la sua fondazione risale al 1677, col nome di Teatro di San Giovanni Grisostomo.
Venne edificato in soli quattro mesi sul sito dov’era edificata anticamente la dimora dei Polo e la sua fondazione fu interamente finanziata dai fratelli Grimani di Santa Maria Formosa. Nonostante sul finire del ‘600 a Venezia vi fossero ben 18 teatri, questo era considerato “il più grande, il più bello e il più ricco della città” (J.C. de Cramailles, 1683). Il teatro è in piena attività ancora oggi.
Bene, ripartiamo!
Attraversiamo il ponte, proseguiamo per la calle e attraversiamo Campo Santa Marina, prendiamo il ponte a sinistra e arriviamo in una delle fondamenta più belle della città, la Fondamenta Van Axel. Qui sorge, splendido ma riservato nella sua bellezza, Palazzo Van Axel, eretto tra il 1473 e il 1479 per Nicolò Soranzo, passato poi, nel 1652, ai Van Axel, ricchi mercanti olandesi che furono nominati patrizi veneziani nel 1665.
Adoro questo palazzo, è uno dei più belli della città. E Corto Maltese è d’accordo con me, visto che nei suoi fumetti ha eletto spesso Palazzo Van Axel a sua dimora personale. Tra l’altro qualcuno potrebbe ricordarselo anche perché qui è stato girato il film Casanova del 2005.
Imbocchiamo ora la calle a sinistra, Calle Castelli, e ci prepariamo a trovarci al cospetto di una vera e propria bomboniera: Santa Maria dei Miracoli. È l’unico edificio della città realizzato interamente in marmo nonché uno dei primissimi edifici di stile rinascimentale a essere stati costruiti a Venezia.
Opera dell’architetto Pietro Lombardo, la storia vuole che Santa Maria dei Miracoli sia stata edificata nella seconda metà del XV secolo per rendere omaggio ad un dipinto della Vergine posto ad un angolo dell’abitazione mercante lombardo Angelo Amadi.
Questo dipinto era ritenuto miracoloso dagli abitanti della zona, che gli si affidavano per chiedere numerose grazie.
Giriamo attorno alla chiesa e arriviamo nel mio campiello preferito di tutta la città: Campo di Santa Maria Nova. È un vero e proprio angolo di paradiso dove, se siete fortunati, troverete anche un piccolo ma ben fornito mercatino dell’antiquariato.
I cinefili riconosceranno il luogo come la zona in cui Bruno Ganz aveva il suo negozio di fiori nel film Pane e Tulipani del 1999.
Prima di proseguire, addentriamoci nella piazza e cerchiamo Palazzo Bembo-Boldù.
Sulla sua facciata, in una nicchia a forma di conchiglia, troviamo la statua di un uomo tozzo, peloso e quasi animalesco, che regge davanti a se il disco del sole. È la rappresentazione di Chronos (o Saturno), il Dio del tempo. Chronos mangiava i propri figli appena nati, ma Rea, sorella e moglie, gli nascose l’ultimogenito Zeus. Questi, una volta cresciuto, tornò dal padre per ucciderlo.
La nicchia fu posta per volere di Giammatteo Bembo, nipote del celebre Pietro Bembo, che ai piedi della statua fece inscrivere in latino:
“Finché girerà questo [il sole] Zara, Cattaro, Capodistria, Verona, Cipro, Creta, culla di Giove, faranno testimonianza delle mie azioni.”
Proseguiamo il nostro percorso costeggiando la chiesa di San Canciano e attraversando il ponte omonimo: l’obbiettivo è raggiungere la parte nord della città e affacciarci alla laguna. Attraversiamo, quindi, il Campiello e il Sottoportego della Cason.
Cason in Veneziano significa “prigione”, è infatti proprio qui che venivano rinchiusi i debitori ed i rei confessi di piccoli reati. Per i delitti più gravi c’erano i Piombi e i Pozzi di Palazzo Ducale.
Passiamo il sottoportego e imbocchiamo il Rio Terà Santi Apostoli fino ad attraversare il Rio Terà Barba Frutariol. Passeggiando per Venezia di Rii Terà ne avrete sicuramente incontrati moltissimi, un Rio Terà non è altro che una strada pedonale ricavata dall’interramento di un canale preesistente. Questo perché, un tempo, la città veniva attraversata quasi interamente via gondola e le calli percorribili a piedi erano in numero decisamente inferiore.
Gli interramenti iniziarono con le occupazioni francesi e austriache, in un periodo che va dal 1710 al 1866 circa, e furono fatti principalmente per motivi igenici.
Passato il Rio Terà Barba Frutariol ci ritroviamo sulla Salizada dello Spezier: percorriamola tutta così come la successiva Salizada Seriman, fino a raggiungere il Campo dei Gesuiti. Siamo al confine nord della città. Qui nel Capo, alla nostra sinistra possiamo ammirare Palazzo Zen, dimora dell’antica famiglia di navigatori veneziani che scoprì il Drogeo, oggi noto come Labrador.
L’edificio con quattro camini era l’antico Ospedale e Oratorio dei Crociferi mentre sulla nostra destra vediamo l’attuale Chiesa dei Gesuiti (un tempo dedicata a Santa Maria dei Crociferi), interamente rifabbricata in stile barocco nel 1729.
Il pozzo in pietra di forma esagonale davanti al complesso monasteriale era già presente nel Settecento ed è ritratto sulla tela di Canaletto, Il Campo e la Chiesa dei Gesuiti.
Siamo giunti sulle Fondamenta Nove e quasi alla fine del viaggio.
Davanti a noi c’è la laguna con tutti i suoi misteri. Per chi desidera qui ci sono gli imbarchi per le isole di Murano, Burano e San Michele e il Cimitero monumentale di Venezia. Per gli animi più romantici, il cimitero è un posto che merita sicuramente una visita. Al suo interno sono sepolti, tra i tanti nomi noti, il pittore Emilio Vedova, il compositore Igor Stravinskij e il poeta Ezra Pound.
Per proseguire con il nostro percorso sulle Fondamenta Nove, andiamo verso sinistra e percorriamole tutte fino alla fine: davanti a noi, c’è il Casino degli Spiriti. Il palazzo in realtà si chiama Palazzo Contarini dal Zaffo e ospitava riunioni tra letterati, filosofi e artisti come Tiziano, Tintoretto, Giorgione, Pietro Aretino, Jacopo Sansovino e Paolo Veronese.
Quando il palazzo fu abbandonato dalla famiglia Contarini e rimase disabitato, iniziarono a circolare voci tra i barcaioli e i pescatori che si avventuravano di notte da quella parte della laguna: si udivano rumori, sibili, rimbombi. Secondo alcuni si trattava di una banda di falsari che per continuare i propri traffici cercava di spaventare i curiosi; altri parlarono di feste e orge, o addirittura cerimonie di sette sataniche che invocavano il diavolo; altri ancora pensarono che si trattasse degli spiriti degli artisti e dei letterati che avevano frequentato il casino e per questo iniziò a venir chiamato Casino degli Spiriti.
La leggenda del Casino degli Spiriti Alberto Toso Fei (in Misteri di Venezia, Milano 2013, pp. 46-47) ricorda la leggenda di un pittore cinquecentesco, Pietro Luzzo da Feltre, che, durante una riunione nel Casino fu respinto dalla donna amata (Cecilia, che allora era la modella e l’amante del grande pittore Giorgione). La stessa notte, Pietro Luzzo scomparve nel nulla come se avesse deciso di suicidarsi. Qualche giorno dopo il fantasma del pittore comparve ad una delle finestre del casino. Murata la finestra, il pittore apparve in quella accanto. I proprietari furono costretti a murare tutte le finestre e solo allora lo spettro scomparve per sempre. |
Ciò che ha sicuramente contribuito ad alimentare il mito un po’ macabro del Casino degli Spiriti è sicuramente la posizione isolata, dove il vento e i rumori della risacca nelle nebbiose notti invernali possono sembrare grida e ululati. Si aggiungono alla leggenda anche alcune luci ondeggianti e ad intermittenza, che molti Veneziani assicurano di aver visto in prossimità del palazzo.
Ora torniamo indietro lungo le Fondamenta. Ad un certo punto, alla nostra destra vedremo il Caffè Algiubagiò, un ottimo punto ristoro dopo una camminata lunga come questa. Imbocchiamo la calle lì a fianco, Calle delle Tre Croci, e la successiva Calle Tiziano.
Qui viveva il famosissimo pittore Tiziano Vecellio – e per gli appassionati, anche Corto Maltese.
Torniamo ora giù, verso Campa Santa Maria Nova.
Giunti nel Campo, prendiamo il ponte di sinistra e percorriamo tutte le Fondamenta fino a trovarci di fronte alla maestosa Basilica dei Santi Giovanni e Paolo (detta San Zanipolo in dialetto Veneziano, dalla crasi dei nomi dei due santi). Al suo interno potrete trovare le tombe di tutti i dogi di Venezia, sepolti lì a partire dal ‘200.
Al suo fianco, la Scuola Grande di San Marco, originaria del XIII secolo ed edificata per volere dei Domenicani, ordine ecclesiastico soppresso poi nel 1807 sotto il dominio napoleonico.
La Scuola Grande di San Marco è stata usata come ospedale militare austriaco e tutt’oggi è la sede dell’ospedale civile di Venezia.
La facciata rinascimentale è splendida e di grande impatto visivo, ma tra le edicole e le statue in marmo si nasconde una piccola curiosità. Sul lato destro del portone d’ingresso, cercate un antico graffito inciso nella pietra.
Rappresenta la figura stilizzata di un uomo che regge un cuore nella mano sinistra. Anche attorno a questo piccolo segno è legata un’interessante leggenda.
La leggenda del “cuore” della Scuola Grande di San Marco Una donna cristiana aveva avuto un figlio da una relazione con un cittadino turco. Il ragazzo viveva insieme al padre sull’isola della Giudecca, dove al tempo erano confinati i Levantini. La sua situazione non era semplice poiché essendo un mezzo sangue, non era accettato né dalla comunità cristiana né da quella turca. La frustrazione lo fece diventare di carattere collerico e violento. Sebbene amasse molto la madre, quando andava a trovarla, gli incontri sfociavano spesso in furiosi litigi. Un giorno, accecato dalla rabbia, la accoltellò e le strappò il cuore dal petto. Subito si rese conto di quello che aveva fatto e, preso dal panico, scappò con il cuore ancora in mano. Correndo lungo la Scuola Grande di San Marco, sul lato che fiancheggia il canale, perse l’equilibrio ed il cuore della madre gli cadde in acqua. Rialzatosi, raggiunse le Fondamenta Nuove, dove si buttò nella laguna lasciandosi affogare. Secondo un’altra versione della storia, il ragazzo impazzì perché sentì provenire dal cuore la voce della madre che lo rassicurava dicendogli di amarlo nonostante ciò che aveva fatto. L’episodio è giunto fino a noi grazie ad uno scalpellino, Cesco, che aveva lavorato alla realizzazione della facciata della Scuola. Quando la moglie, di cui era immensamente innamorato, si ammalò e morì, si ridusse per disperazione a dormire nel campo e a vivere di elemosina. Cesco fu testimone dell’omicidio ed incise nella pietra il ragazzo con turbante in testa ed il cuore in mano. |
Sempre ad opera di Cesco, secondo la leggenda, è l’incisione della galea veneziana sull’altra colonna del portone d’ingresso.
Nel Campo Santi Giovanni e Paolo troviamo anche la statua equestre di Bartolomeo Colleoni, condottiero bergamasco noto perché aveva tre testicoli, che lui ostentava orgogliosamente sullo stemma nobiliare della famiglia, quale simbolo di mascolinità.
Nel Campo c’è anche l’antica Pasticceria Rosa Salva, ancora in attività dal 1879.
Qui concludiamo la nostra lunga passeggiata alternativa a Venezia, di fronte ad una tazza di cioccolata calda con panna.