In Umbria le cose da vedere sono tante ma non sempre il modo migliore di scoprire la regione è visitare i luoghi più famosi a livello turistico. Tra le attività insolite da poter sperimentare in Umbria ce n’è una che appassionerà tutti coloro che amano camminare e trascorrere tempo all’aria aperta, circondati da paesaggi affascinanti. Conoscete la vecchia ferrovia Spoleto-Norcia?
Una giornata di trekking sul tracciato della ferrovia (oggi dismessa) che un tempo collegava Spoleto e Norcia è un piacevole modo di impiegare una tiepida Domenica primaverile.
La ferrovia Spoleto-Norcia fu inaugurata nel 1926 e rimase in funzione fino al 1968 quando si resero disponibili alternative di trasporto più pratiche e veloci.
A distanza di poche decine di anni dalla sua costruzione quindi, i treni smisero di percorrerla e le traversine furono smantellate, ma sul territorio rimase ugualmente il segno dei suoi trascorsi fasti che gradualmente e armoniosamente furono assorbiti nel paesaggio. Anche se i binari sono stati rimossi, rimangono a disposizione degli odierni esploratori 34 dei 52 chilometri originari da percorrere in una stimolante alternanza di gallerie, tratti inclusi tra verdi declivi e viadotti panoramici.
Il tracciato della vecchia ferrovia Spoleto-Norcia è entusiasmante dal punto di vista paesaggistico. Si tratta di una ferrovia alpina, soprannominata, per le sue caratteristiche, il “Gottardo dell’Umbria“.
Itinerario a piedi lungo la vecchia ferrovia Spoleto-Norcia
1. Vecchia stazione di Caprareccia
Si trova all’altezza del chilometro 6,3 della SS395 ed è riconoscibile per la presenza di un piazzale sterrato dove si può parcheggiare la macchina.
2. Galleria di Caprareccia
E’ la più lunga di tutto il tracciato e le torce sono necessarie per attraversarla in sicurezza. Superata la galleria basta seguire l’ex ferrovia, superando una serie di gallerie e viadotti.
3. Sant’Anatolia di Narco
Arriviamo al borgo di Sant’Anatolia di Narco dopo diverse ore di cammino, per fortuna in discesa. Il percorso non è eccessivamente impegnativo. Durante la passeggiata ci si può fermare a fare un pic-nic, come abbiamo fatto noi, per rifocillarsi un po’.
4. Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco
La giornata si è conclusa con una visita al Museo della Canapa di Sant’Anatolia.
***
La nostra avventura comincia dalla Stazione di Caprareccia, da questa ci muoviamo inizialmente verso l’omonimo viadotto allo scopo di usufruire di un punto di osservazione che consente di ammirare un’ampia porzione della valle sottostante. Tornando indietro dalla parte opposta al viadotto, incontriamo, dopo pochi passi, la prima galleria. Il viadotto e la galleria di Caprareccia sono i più lunghi fra i rispettivi omologhi compresi nell’ex tracciato ferroviario, il primo misura 120 metri, la seconda quasi 2 chilometri.
L’oscurità all’interno delle gallerie è tale da non consentire di procedere in sicurezza senza avvalersi dell’utilizzo di torce elettriche che, pertanto, devono far parte dell’equipaggiamento.
Già a pochi metri dall’ingresso della galleria, si sperimenta un fulmineo cambiamento delle percezioni sensoriali: la temperatura si abbassa di diversi gradi e contemporaneamente si avverte un innalzamento dell’umidità, la visibilità si riduce sensibilmente e i suoni diventano rimbombanti. Le reazioni dei presenti alle mutate condizioni ambientali sono eterogenee. C’è chi bisbiglia stringendosi al compagno di viaggio, c’è chi si perde nella contemplazione delle concrezioni minerali che si accumulano sui muri illuminati dalle torce, c’è chi parla ad alta voce per farsi animo e c’è l’immancabile buontempone che imita il fischio del treno e poi urla di mettersi in salvo.
Le gallerie, come è prevedibile, offrono un alloggio sicuro a diverse specie della fauna locale come piccoli anfibi, insetti e aracnidi. I più coreografici sono i pipistrelli che, disturbati dal traffico di escursionisti, descrivono complicate traiettorie all’uscita delle gallerie, stagliando le loro inconfondibili sagome brune contro la luce che irrompe dall’esterno.
Condividere l’ambiente con una specie animale così vituperata da dicerie folkloristiche potrebbe gettare qualcuno in uno stato di leggera apprensione. Per confortarsi, basta ricordare che in Europa non sono presenti chirotteri ematofagi (i famigerati “vampiri“) e che i pipistrelli sono dotati di un sistema di ecolocalizzazione, il biosonar, molto efficiente che li rende abilissimi aviatori in grado di schivarvi anche quando volano molto vicini a voi. Non avete nulla da temere da questi simpatici animaletti volanti!
Una volta guadagnata l’uscita, gli occhi riacquistano quell’intraprendenza che era stata limitata dall’oscurità e si è portati a notare dei dettagli che precedentemente erano stati trascurati. Fiori e piante inviano segnali colorati ed esigono la loro fetta di attenzione, compare nel sottobosco un folto gruppo di ciclamini e si riconoscono le specie botaniche più familiari: la santoreggia, detta anche “erba dei satiri” per le presunte proprietà afrodisiache; l’elicriso, dall’odore che ricorda quello della liquirizia; il verbasco, le cui foglie, ricoperte da una morbida peluria, venivano un tempo usate dai contadini come soletta; e, ancora, gli asparagi selvatici, il timo serpillo, le orchidee.
Dopo aver consumato il classico pranzo al sacco, continuiamo a scendere nella valle del fiume Nera e abbandoniamo il percorso della ex ferrovia dopo averlo seguito per un totale di 13 chilometri. Ci dirigiamo verso il borgo di Sant’Anatolia di Narco per visitare il Museo della Canapa.
Quella della canapa, fino alla prima metà del ‘900, era una coltura molto diffusa in Italia.
La specie coltivata era la Cannabis sativa, si usavano varietà che contenevano concentrazioni di cannabinoidi molto inferiori a quelle presenti nelle piante destinate ad un uso ricreativo.
La canapa era molto apprezzata per la sua versatilità. Dal fusto si ottenevano fibre tessili per la fabbricazione di capi di abbigliamento e cordami molto resistenti o materiale che poteva essere impiegato come combustibile, nella produzione della carta o come imbottitura, dai semi poteva essere estratto l’olio o si ricavava una farina proteica con un alto valore nutrizionale adatta all’alimentazione di uomini e animali.
In Umbria, la coltivazione della canapa era di tipo estensivo e a carattere familiare. Ad esempio, alla nascita di ogni figlia femmina, il capofamiglia destinava un appezzamento di terreno alla coltivazione della piante che sarebbe state necessarie per la produzione della dote.
Le bambine cominciavano in età tenerissima (già a 4-5 anni) a prendere dimestichezza con fusi per la filatura, cardi e telai.
Superate le faticose fasi di raccolta, macerazione e gramolatura (processo in cui si schiacciano i fusti per eliminare le parti legnose), alla lavorazione delle fibre vegetali venivano dedicati solo i ritagli di tempo che avanzavano una volta terminati i lavori nei campi. Di sera, ci si riuniva intorno al focolare per cardare e filare e si approfittava del tempo da passare in compagnia per rinsaldare i rapporti sociali o intrecciarne di nuovi.
Sembra che il detto “fare il filo” derivi proprio da ciò. Gli innamorati sfruttavano l’attività della filatura come pretesto per riuscire a stare insieme e per conoscersi l’un l’altro.
A partire dagli anni ’50, l’industrializzazione del settore tessile e l’avvento delle fibre sintetiche indussero un graduale abbandono della coltivazione estensiva della canapa. Nel 1961 l’Italia aderì, insieme ad altri 183 paesi, alla “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” e in pochi anni le coltivazioni di canapa scomparvero definitivamente dal territorio nazionale.
Il Museo della Canapa di Sant’Anatolia si trova in Piazza del Comune Vecchio, è ben segnalato e può essere facilmente raggiunto da chiunque sia interessato a visitarlo. Al suo interno, potrete esaminare gli svariati utensili impiegati nella lavorazione della canapa osservare da vicino numerosi tipi di tessuto da questa ottenuti. Non sarete lasciati soli: il personale addetto vi guiderà con competenza, illustrando sinteticamente ma in modo efficace le varie attività legate alla lavorazione della canapa.
Previa prenotazione sul sito del museo, potrete inoltre partecipare a diverse attività, ad esempio potrete provare a cimentarvi nell’utilizzo del telaio. Il Museo della Canapa di Sant’Anatolia è adeguatamente attrezzato per l’accoglienza delle persone affette da disabilità.
2 Comments
Leave a Reply